Omocisteina alta: un fattore di rischio per la salute del cervello

Oltre a costituire un fattore di rischio importante per i disturbi cardiovascolari, elevate concentrazioni di omocisteina nel sangue sono associate allo sviluppo e alla progressione di molte condizioni neurodegenerative a carico del cervello. Dal decadimento cognitivo alla demenza fino a disturbi cognitivi quali Alzheimer e Parkinson, studi clinici dimostrano che in pazienti anziani è stato riscontrato che, in pazienti anziani, i livelli sierici dell’aminoacido erano più alti dello standard. La comunità scientifica ha indagato a lungo sulle cause metaboliche che compromettono le funzionalità dei vasi sanguigni e delle corrette funzionalità dell’area cerebrale.

Omocisteina alta e declino cognitivo

È noto alla ricerca scientifica che concentrazioni elevate di omocisteina siano correlate ad un aumento del rischio cardiovascolare a causa dello sviluppo di placche aterosclerotiche e di una disfunzione endoteliale dei vasi sanguigni. Tuttavia, diversi studi hanno rilevato una marcata correlazione fra iperomocisteinemia e per disturbi neurodegenerativi e decadimento cognitivo.

Tutti gli studi condotti a riguardo indicano che alti livelli di omocisteina associati a basse concentrazioni di acido folico possono portare a segnali di declino cognitivo in pazienti anziani sia di sesso maschile sia di sesso femminile1. Un probabile meccanismo biologico alla base di questa correlazione potrebbe basarsi proprio sulle ridotte dimensioni delle arterie dovute alle disfunzioni dei piccoli, che espone al rischio anche di ictus, infarto e trombosi[1]. Inoltre, potrebbe verificarsi un abbassamento delle funzioni di neuroregolazione e di trasmissione chimica degli impulsi tra le sinapsi del cervello.


[1] Moretti, R.; Giuffré, M.; Caruso, P.; Gazzin, S.; Tiribelli, C. Homocysteine in Neurology: A Possible Contributing Factor to Small Vessel Disease. Int. J. Mol. Sci. 2021, 22, 2051. https://doi.org/10.3390/ijms22042051

Omocisteina, Alzheimer e Parkinson

Negli studi epidemiologici, valutati con test neuropsicologici, è stato osservato che avere alti livelli plasmatici dell’omocisteina rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di demenza. Si comincia a parlare del legame fra iperomocisteinemia e disturbi cognitivi quando, nelle prime indagini del 1988, i pazienti con diagnosi istologica di Alzheimer riscontravano livelli dell’amminoacido più alti della norma.

Il disturbo di Alzheimer è caratterizzato da una progressiva difficoltà nei processi di apprendimento, perdita di memoria, confusione, disorientamento e da alterazioni delle capacità spaziali. In un primo studio condotto da ricercatori italiani sono stati misurati i livelli di omocisteina, acido folico e vitamina B12 in un campione di 816 uomini e donne di circa 74 anni. Tramite test cognitivi effettuati all’inizio della sperimentazione e ripetuti dopo 4 anni, è stato riscontrato che il 14% dei soggetti mostrava segnali di un declino cognitivo, e l’8.5% ha sviluppato l’Alzheimer. I casi più evidenti di peggioramento cognitivo sono stati rilevanti in soggetti che, al primo test, presentavano i livelli più alti di omocisteina associati a basse concentrazioni di acido folico

Inoltre, lo studio The Vitamin Intervention in Stroke Prevention trial ha mostrato che, oltre alla carenza di acido folico, la ridotta funzione cognitiva ha avuto un’importante correlazione con pregressi episodi di ictus.

Un’altra condizione di forte declino cognitivo, frequente spesso in pazienti anziani e correlata all’iperomocisteinemia, è il disturbo di Parkinson. Si tratta di una compromissione progressiva di alcune funzioni di controllo del movimento e dell’equilibrio, frequente anch’essa con l’avanzare dell’età.

Uno studio sul coinvolgimento dell’omocisteina nello sviluppo nel Parkinson indica che i pazienti affetti da questo disturbo cognitivo presentano elevati livelli dell’aminoacido, prodotto dal metabolismo e dalla degradazione della levodopa. I pazienti con livelli elevati di omocisteina presentavano un maggiore tasso di alterazioni del ton o dell’umore ed una maggiore tendenza alla perdita della memoria e dell’attenzione.

L’integrazione di acido folico per ridurre l’omocisteina

Una strategia preventiva per abbassare i livelli di omocisteina plasmatica può essere la supplementazione di acido folico, associato alle vitamine del gruppo B.  Tuttavia, per quanto sia comprovato che l’acido folico abbia effetti positivi sulla diminuzione dei valori di omocisteina, non è ancora dimostrata la sua validità terapeutica in caso di demenza e altri disturbi cognitivi. Sempre in “The Vitamin Intervention in Stroke Prevention trial,” sono stati presi in considerazione 150 pazienti con Alzheimer, trattati con una supplementazione ad alto o basso dosaggio di piridossina (vitamina B6), cobalamina (vitamina B12) e acido folico, in modo randomizzato e in doppio cieco. L’indagine conferma che, nonostante queste sostanze abbiano ridotto i livelli sierici di omocisteina, non hanno dato risultati soddisfacenti nell’influenzare i livelli plasmatici della proteina beta-amiloide, il cui aumento ha un ruolo chiave nella progressione del declino cognitivo e nello sviluppo dell’Alzheimer.   

Un’altra indagine, High-Dose B Vitamin Supplementation and Cognitive Decline in Alzheimer Disease, condotta nel 2008 e pubblicata sulla rivista scientifica Neurology, conferma questi risultati dopo aver valutato le prestazioni cognitive dei pazienti secondo la scala ADAS-cog (Alzheimer’s Disease Assessment Scale-cognitive subscale). Il tasso di variazione del punteggio ADAS-cog dei partecipanti trattati con integratori a base di acido folico, vitamine B6 e B12 non differiva da quello del gruppo trattato con placebo.

Nonostante i risultati incerti, la supplementazione di acido folico e vitamine B come una strategia preventiva contro l’aumento dei livelli plasmatici di omocisteina è comunque raccomandata per preservare la salute cardiovascolare e per ritardare lo sviluppo di condizioni neurodegenerative, a cui sono maggiormente esposti soggetti in tarda età.

Rimane ancora incerta la correlazione tra la supplementazione di queste sostanze e i benefici nel supporto al trattamento dell’Alzheimer.


Fonti:

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